domenica 5 maggio 2024

I RITI SCARAMANTICI NELLO SPORT

 




Il Mago dice che:

La scaramanzia ha radici molto antiche. Ruìicorrevano a portafortuna e talismani i Greci, i Romani, gli Egizi. Radici antichissime , che non si sono certo indebolite con il passare dei secoli. Secondo un sondaggio del 2021, il 40% degli italiani si ritiene superstizioso. Il 5% ammette di esserlo sempre, mentre il 35% solo in alcune situazioni. E fra queste ci sono sicuramente le partite di calcio. A qualsiasi latitudine e in ogni continente, quello dei tifosi è tra i popoli più scaramantici.
Un sondaggiodell'anno scorso ( 2023) di OnePoll sui tifosi americani ha rilevato come il 62% degli intervistati si senta responsabile della sconfitta della propria squadra se non indossa la maglia portafortuna o non guarda la partita nel solito posto. Insomma, ogni rito può contribuire alla vittoria: abitudini, amuleti, abbigliamento, compagnia. Ecco 11 tra i più curiosi e ricorrenti, per scendere in campo con una squadra di portafortuna.
  • Al solito posto
Alzi la mano chi non ha mai compiuto questo semplice gesto. Quando si guarda la partita della propria squadra, il punto in cui ci si siede, per le persone scaramantiche, è fondamentale. La stessa seduta del divano, lo stesso seggiolino allo stadio, lo sgabello del pub, la stessa casa, lo stesso menù e – se possibile – la stessa compagnia.

  • Attenzione  ai numeri
Noi Italiani associamo la cattiva sorte al numero 17. Guai quindi a indossare la maglietta con questo numero o a guardare la partita in 17. In giro per il mondo, però, le cifre cambiano. Nella cultura anglosassone il più temuto è il 13. La Le spiegazioni sono diverse, ma l’origine risiederebbe nel fatto di venire dopo il numero 12, ritenuto sacro. In Cina, invece, il numero più temuto è il 4.

  • Indumento che vince non si cambia
Tifosi, calciatori e allenatori hanno quasi sempre  una propria «copertina di Linus»: un oggetto da indossare durante le partite, sempre lo stesso, con l’auspicio che porti fortuna. A ciascuno il suo: una t-shirt, una sciarpa, un cappellino o un indumento intimo. Ci sono calciatori che hanno indossato sempre la stessa “maglia della salute”, per anni. E allenatori che andavano in panchina con il cappotto anche a giugno.

  • Un pò di sale
Il sale ha molti  usi, non solo in cucina. Se si versa accidentalmente, porta sfortuna. Ma Oronzo Canà, mitico personaggio de L’allenatore nel pallone, lo gettava alle sue spalle nei momenti più tesi delle partite per invocare la buona sorte. Ma perché proprio il sale? Questo ingrediente si riteneva che fosse prezioso perché usato dagli antichi per conservare i cibi. In epoca romana i soldati erano addirittura pagati con razioni di sale, ricevendo il cosiddetto «salario».

  • Incrociare le dita 
«Incrociamo le dita»: il gesto portafortuna è così popolare da essere diventato anche un modo di dire. Anche i tifosi meno scaramantici si ritrovano a sovrapporre indice e medio prima di un rigore, quando c’è una punizione dal limite o nei minuti finali della partita. L’origine risalirebbe agli inizi del cristianesimo quando si evocava il simbolo della croce, un segnale segreto che accomunava i cristiani anche durante le persecuzioni. Nel Medioevo, incrociare le dita assunse anche il significato di sbarrare la strada al diavolo, ritenuto capace di passare attraverso le dita nell’anima.

  • cornetti e non solo 
Amuleti, pelouche, cornetti, mascotte: ognuno ha il proprio oggetto portafortuna. Il grande classico è il cornetto. Ma ce ne sono centinaia: dalle ghiande figlie della tradizione vichinga allo scarabeo che affonda le radici in Egitto. E poi ancora ferri di cavallo e quadrifogli. Elencarli tutti è impossibile, anche perché ogni tifoso scaramantico ne ha uno personale, legato al proprio passato.

  • Cominciare  col piede giusto
Moltissimi  calciatori hanno particolari riti con i quali entrano in campo. Toccano l’erba, saltellano sullo stesso piede, entrano in fila sempre con lo stesso ordine. Il gesto più ricorrente è però quello di fare il primo passo sul terreno da gioco con il piede destro. Un’usanza che molti tifosi replicano quando entrano allo stadio. Affonderebbe le radici in alcune credenze religiose secondo le quali Dio sarebbe associato al piede destro e il diavolo al piede sinistro. Anche se, spesso, le presenze più “divine” viste in un campo da calcio sono mancine.
  • Barba e capelli 
La partita è finita  bene? Allora meglio lasciare tutto com’è, anche barba e capelli. Rasoio e forbici addio, almeno fino alla prossima sconfitta. O fino a quando le cose dovessero iniziare ad andare male. Considerando che – nel migliore dei casi – un mondiale dura circa un mese e un campionato nove o dieci mesi, l’aspetto dei tifosi più scaramantici potrebbe cambiare moltissimo.

  •  Ferro e legno 
Nella cultura popolare italiana si usa spesso la frase e il gesto del toccare ferro come porta fortuna. Ma, come per i numeri, in altre culture anche il materiale cambia. In quelle britannica e nordica, ad esempio, è il legno a scacciare i guai.

  •  Non guardare è meglio
Si va ai calci di rigore. Alla nazionale italiana, sono costati tre amarissime sconfitte (nei mondiali del ‘90, ‘94 e ‘98), ma anche le gioie più grandi (la Coppa del Mondo 2006 e l’Europeo 2021). Sarà per la tensione o per scaramanzia, ma in quei momenti di pathos c’è chi preferisce chiudere gli occhi, allontanarsi dalla tv o dare le spalle al dischetto. L’importante è non guardare.

 Cori e danze 

Ci sono  riti che  diventano così popolari da evolversi quasi in inni non ufficiali. Nel 2006, il ritmo di “Seven nation army” affiancò le note di Mameli. Celebre e imitatissimo è il geyser sound dei tifosi islandesi: un’intera curva che batte le mani all’unisono e a un ritmo che diventa sempre più incalzante.







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