martedì 31 gennaio 2017

IL BEER YOGA


Il Mago dice che:



Il beer yoga è la nuova tendenza in arrivo dall’Australia, e  conta già numerosi corsi con tantissimi iscritti. Potrebbe essere un ottimo stimolo anche per tutti i pigri, che in questo modo sarebbero invogliati a praticare attività fisica, durante la quale potranno sorseggiare della birra senza problemi e sensi di colpa.

Sembra che questo originale connubio tra alcol ed esercizio fisico sia nato nelle comunità hipster di Berlino, sebbene i maggiori sostenitori della pratica siano negli Stati Uniti e nel continente australe.
Non si scherza però: gli ideatori del beer yoga sostengono la ferma convinzione secondo cui è necessario unire i due piaceri– quello per il corpo e quello per la mente – affinché l’uomo possa raggiungere uno stato di benessere generale.



Gli ammiratori del beer yoga, per esempio, non fanno altro che assumere le tipiche posizioni dello yoga aiutandosi però con una bottiglia di birra. La si può usare, per esempio, per allungare la schiena se spinta con le braccia lontana dal corpo, oppure per migliorare l’equilibrio se posizionata sulla testa.


L’efficacia di questa nuova pratica nasce dal fatto che sia lo yoga sia qualche sorso di birra generano rilassamento e uno stato di leggerezza superiori a quelli provati in condizioni normali. In ogni seduta, poi, la musica soffusa e un’atmosfera da pub  permettono una più completa integrazione tra la meditazione yoga e il piacere di una buona birra .

E' una pratica lontanissima  dai canoni tradizionali dell’attività fisica e del fitness, ma sembra che stia diventando un ottimo compromesso per svolgere attività fisica e allo stesso tempo ristorarsi in un ambiente piacevole e rilassante quale, per esempio, una birreria o un pub.
Sui social sono sempre di più i follower del beer yoga a livello internazionale, sebbene in Italia questa originale disciplina non abbia ancora preso piede in larga misura.



IL PENSIERO  DELLA  COMUNITA' YOGA DRADIZIONALE 
SUL BEER YOGA 

“E' allucinante la pratica “birra + yoga” un’attività folle e pericolosa che associa tecniche di yoga tradizionali con il consumo simultaneo di birra, atto che mescola gli effetti contrari delle due azioni di purificazione-intossicazione, portando i praticanti irresponsabili e incoscienti ad avere squilibri psico-emotivi maggiori. Beer+yoga è un’assurda idea berlinese, tra le più ridicole che esistano, accanto allo yoga vids, aerial silk, o ad altre pseudoforme di yoga dello stesso stampo ”.












  
Catalogo professionale di musica libera

venerdì 27 gennaio 2017

IL DIAVOLO


Il Mago dice che:


Il termine italiano "Diavolo " deriva dal greco " Diabolos " , da ricollegarsi al verbo "diaballo"  che significa : " metto male tra due , sconvolgo, disunisco, calunio .
Il Diavolo disunisce , calunia , si oppone . 
Dalle Sacre Scritture apprendiamol'esistenza degli angeli nefasti i quali, ribellatisi a Dio , tentano gli uomini e fanno loro del male .
Esseri simili si ritrovano in tutte le religioni e mitologie come spiriti assetati di vendetta , apportatori di calamità.
Secondo la teologia cattolica , gli angeli ribelli hanno commesso peccato di superbia rifiutandosi di sottomettersi alla volontà di Dio e volendo essere simili a lui , nonchè peccato di invidia: invidia del destino di gloria destinato all'uomo , "immagine" del Creatore .
Più che oppositore di dio , il diavolo è oppositore e tormentatore dell'uomo e tenta in ogni modo di farlo "cadere". Nel vangelo il diavolo è chiamato " principe di questo mondo " e nell'apocalisse si parla del "Gran Dragone " serpente antico che si chiama Diavolo o Satana il quale , precipitato sulla terra con i suoi angeli, seduce il mondo intero .
E' quì immediato il richiamo a certe correnti occultistiche che fanno del personaggio in questione " Il Grande Agente Magico Universale " .
Ricordiamo come si cominci credendo di poter dominare certe forze e si finisce poi per esserne asserviti .
Da evitare quindi ogni contatto o patto con il Diavolo , anche se in apparenza può essere meno brutto di come lo si dipinge .
Quanto al raffigurarlo con connotazioni bestiali ( corna , coda, zoccoli) , oltre a richiamare la figura mitologica di Pan , ciò manifesta simbolicamente la caduta dello spirito nonchè la forza disgregativa della personalità .
Nè ci si lasci illudere da altre concezioni quale quella di un diavolo " ombra di Dio" o "Yavhè  nero" . Budelaire diceva che la più fine astuzia del diavolo è il persuaderci che egli non esiste .































mercoledì 25 gennaio 2017

IL DRAGO


Il Mago dice che:


Nel mondo occidentale il drago è carico di significati negativi e diabolici ( molto spesso si identifica cn il serpente ) .
Si ricordino i molti santi che sono raffigurati nell'atto di trafiggere con la lancia dei satanici dragoni ( San Giorgio e San Michele ad esempio ) .
Questo mostro favoloso però può assumere il valore di "Guardiano delle Soglia ", di custode di un tesoro che si puo ottenere soltanto dopo averlo ucciso; un tesoro , che simboleggia una conquista di ordine iniziatico, spirituale.
In Estremo Oriente invece il dragone è inteso positivamente : rappresenta spesso il verbo creatore e l'imperatore , la potenza celeste creatrice e ordinatrice .
Tornando alle nostre latitudini, ricordiamo che un dragone rosso è l'emblema del Galles.
Se sentite il drago positivamente potete assumerlo come portafortuna .



















IL CAPPELLO


Il Mago dice che:

Si potrebbe dire che , per certi versi , il cappello fa l'uomo . Come dimenticare a questo proposito , che per un bimbo che gioca , ad esempio, il mettersi un cappello da capostazione lo rende capostazione , anche se manca il resto della divisa .
Cosi se volete assumere qualche qualità e sentirvi qualcuno in particolare , potete indossare , se esiste , il cappello che indica quella funzione .
Il fatto che si consideri infausto il cappello posato sul letto , deriva dall'uso funebre dell'elmo che un tempo veniva posto sulla tomba del guerriero defunto .












martedì 24 gennaio 2017

IL BASTONE


Il Mago dice che:


Il bastone partecipa,  come la bacchetta , al simbolismo assiale : l'asse polare congiunge la terra e il cielo .
Ma è anche simbolo di autorità e di comando. Ricordiamo , a questo proposito , , lo scettro, il bastone di maresciallo , il pastorale del vescovo .
Un grosso e nodoso bastone , del resto , porta, evidententemente con sè forti valenze di potenza sessuale maschile .
Nelle carte da gioco il seme dei bastoni, è accostabile all'elemento fuoco .
Il bastone inoltre sorregge nel cammino e impedisce di cadere . Tenendo presenti tutti questi significati , si può capire come un bel bastone possa anche portare fortuna .







domenica 15 gennaio 2017

LA LUNA NEL POZZO


Il Mago dice che:



La luna nel pozzo è la metafora del desiderio di potere dell'uomo

L'antica favola del filosofo turco Nasreddin Hoca, nato nel 1208 in un villaggio dell'Anatolia centrale, e al quale l'Unesco ha dedicato il 1996.
Una notte Hodja camminava nei pressi di un pozzo quando sentì l'impulso di guardare dentro.
Stupito vide il riflesso della luna nell'acqua e esclamò: "La luna è caduta nel pozzo. La devo salvare in qualche modo!"
Si guardò attorno e raccolse una fune con un uncino, la gettò nel pozzo e gridò: "Afferra l'uncino, luna, e tienilo stretto! Ti tirerò fuori".
La fune si impigliò in una roccia dentro il pozzo e Hodja tirò verso di sé la fune con tutte le sue forze.
Di colpo l'uncino si liberò dalla roccia e Hodja finì disteso per terra.
Con gli occhi rivolti al cielo vide sopra di lui la luna in alto nel cielo. "Che fatica, ma ne è valsa la pena, sono riuscito a liberare la luna dal pozzo", disse con un sospiro di sollievo.


Far vedere la luna nel pozzo significa : ingannare qualcuno con false promesse , come fece la volpe , che mostrando al lupo , l'immagine della luna in fondo al pozzo , gli diede ad intendere che era " una bella forma di formaggio, come racconta la  favola di 
La Fontaine :
IL LUPO e LA VOLPE


Una sera la volpe vide in fondo ad un pozzo il grosso cerchio della luna; così tondo e giallo le sembrò un formaggio. Dei due secchi che servivano ad attingere l'acqua, uno stava in alto, tenuto sospeso dall'altro che stava in basso. La volpe affamata entrò nel secchio superiore e subito si trovò in fondo al pozzo. Si accorse allora del sue errore e subito fu colta dal timore: sarebbe potuta risalire soltanto se un altro animale affamato, attirato dall'immagine del falso formaggio, fosse entrato nell'altro secchio riportando il suo verso l'alto.
Due giorni stette dentro al buco nero senza che un cane la vedesse. Il tempo fece il suo mestiere e in due notti l'astro circolare si era ridotto ad una mezzaluna.
La volpe era disperata quand'ecco che passò di là il lupo affamato e si fermò a contemplare quel luccicante oggetto.
- Amico mio - gridò la volpe - voglio offrirti da mangiare. Vedi questa cosa accanto a me? E' un formaggio squisito ed eccellente, fatto col latte di una mucca famosa e, se qualcuno un po' sofferente mangiasse un pochino di questa cosa, sarebbe subito risanato, tant'è squisita e appetitosa. Vedi, io stessa ne ho uno spicchio rosicchiato ma ne resta, se ti va, un bel boccone prelibato. Scendi a gustarlo: ho lasciato un secchio apposta per te. -
L'imbroglio funzionò; il lupo, sciocco, si lasciò ingannare: nel secchio entrò e, il suo peso, la volpe in alto riportò.

Non ridiam, perchè sovente a noi succede di mangiare del formaggio anche peggiore. Facilmente l'uomo di buona fede si lascia affascinare da ciò che lo illude o lo spaventa e, spesso, crede al diavolo stesso che lo tenta.






IL POZZO DEI DESIDERI


Il Mago dice che:

Il pozzo dei desideri ( o in alternativa la fontana dei desideri) è una tipologia  di pozzo molto presente nel folclore europeo, che farebbe avverare i desideri espressi presso di lui .
Questa tradizione ha probabilmente origine dall'idea che l'acqua sia la dimora di divinità o comunque un dono degli dei , in quanto prezioso e in qualche caso , rara.
Pozzi e sorgenti erano era considerati sacri dalle popolazioni germaniche , era usanza  presso di esse , gettare armi e armature dei nemici sconfitti nelle paludi e negli altri luoghi dove si pensava vivessero le divinità , come offerta.
all'acqua erano anche attribuiti poteri curativi, e i pozzi divenivano spesso ritrovi per persone raccolte per bere , lavarsi o pregare.
La gente credeva che, in cambio di un'offerta , lo spirito abitante del pozzo avrebbe garantito , il realizzarsi di un desiderio.
Questo è un tema ricorrente anche in diverse tradizioni: Mimir,un dio dellamitologia norrena , possedeva una fonte magica .
Mimisbrunnr, che garantiva l'onniscenza.
Per ottenerla , Odino dovette dare in cambio uno dei suoi occhi.
E' importante inoltre , notare che la presenza delle monete , in genere fatte di rame o argento , produceva una reazione chimica che impediva all'acqua di diventare acida .
Ai giorni nostri,  i pozzi dei desideri , sono per  lo più utilizzati per raccogliere fondi per le cause più disparate .
La tradizione in ogni caso persiste , e sono noti diversi pozzi , e fontane in cui la gente è solita a gettare monetine , un esempio famoso in Italia , è la fontana di Trevi .

" Fa che l'anima sia il tuo pozzo dei desideri l'unico specchio dei tuoi pensieri , il viaggio che faresti in un mondo senza odio e finti manifesti, un luogo che carpisce fallimenti e che da essi costruisce giorni intensi di riscatti, successi : uno scorcio di sè stessi che non lascia inermi da valori e sentimenti "

Salvatore Bramante 
































giovedì 12 gennaio 2017

LE CARTE ZENER


Il Mago dice che:

Le carte Zener sono un particolare tipo di mazzo di carte, inventato negli anni trenta dallo psicologo Karl Zener appositamente per il noto parapsicologo statunitense Joseph Rhine, che le ha usate per i suoi esperimenti sulla telepatia e sulla chiaroveggenza.
Il set è composto da 25 carte di forma rettangolare (come le normali  carte da gioco) divise in cinque gruppi differenziate da un segno posto nel centro: il Cerchio, la Croce, il Quadrato, la Stella e l'Onda. Ogni gruppo di segni è presente cinque volte nel mazzo.
L'esperimento condotto da Rhine consisteva nel chiedere ad un soggetto di indovinare la carta che si stava estraendo dal mazzo. 

In alcuni casi lo sperimentatore doveva estrarre le carte ponendole di fronte al soggetto da ricerca, mostrando però il dorso e chiedendo di dichiarare il segno; oppure ponendo il soggetto in una condizione di non poter vedere. La cognizione o meno da parte dello sperimentatore della carta da dichiararsi muta l'esperimento da telepatia a chiaroveggenza.
Il test non accerta la presenza di particolari poteri, ma ne valuta la possibilità fondandosi sull'ipotesi statistica: per la legge dei grandi numeri le probabilità di indovinare una carta del mazzo tendono, con infinite prove, al 20% (1 su 5); solo uno scostamento significativo da questa percentuale - posto che l'esperimento venga condotto con metodo scientifico su un numero di casi statisticamente rilevante - si potrebbe supporre non attribuibile alla mera casualità.





























martedì 10 gennaio 2017

LA LANCIA


Il Mago dice che:

E' partecipe del simbolismo assiale (asse dei poli, scala tra cielo e terra ) e rappresenta anche , come la sua freccia , il lampo dell'intuizione .
Lancia e coppa insieme anno anche sfumature sessuali ( lancia maschile e coppa femminile) .
La lancia era attributo di  Minerva e di Marte e presenta valenze guerriere . A voi intenderla in un modo o nell'altro e assumerla come talismano.













venerdì 6 gennaio 2017

LA LEGGENDA DEI TORTELLINI


Il Mago dice che:

Storia e leggenda si conoscono da sempre, e si sono sempre frequentate. La Storia considera la leggenda come una vecchia nonna tanto dolce, ma un po’ via di testa: i suoi racconti sono affascinanti, ma sono un fritto misto di ricordi individuali e collettivi, di vecchie letture, sogni e fantasie. Per la Leggenda, la Storia è troppo pragmatica: un po’ arida, così attaccata alle carte (i documenti) e ai numeri (le date): una specie di contabile. La Leggenda canta, la Storia conta, ma entrambe raccontano.
 Ciascuna col proprio stile, ovviamente. Ed è proprio quello che succede a proposito dei tortellini. Per il rispetto dovuto all’età, sentiamo per prima la Leggenda. Secondo A. Panzini, il Know-how del tortellino va ricercato - e ritrovato - sul fondo di un secchio. Per amor di verità, di una secchia, la più famosa della letteratura; La “Secchia rapita” cantata dal poeta modenese Alessandro Tassoni nel 1624. La storia (qui intesa come trama dell’opera) narra, in termini burleschi e canzonatori, dell’eterna rivalità fra Modena e Bologna: due città troppo vicine, e troppo sanguigne, per non accapigliarsi ad ogni occasione. E con ogni pretesto, come la proprietà di una comunissima secchia tarlata, di quelle che si usano per tirar su l’acqua da un pozzo. Per via della secchia trafugata dai modenesi scoppia una guerra eroicomica che dura ben dodici canti; vi prendono parte l’Olimpo al completo, re Enzo, e personaggi quali la guerriera Renoppia e il conte di Culagna. Alla Secchia Rapita si sarebbe ispirato il poeta ottocentesco Giuseppe Ceri, che in un poemetto racconta della spedizione terrena di tre divinità dell’Olimpo: Bacco, Marte e Venere. I tre, venuti a dar man forte ai modenesi (ciascuno secondo le proprie competenze) in una delle tante guerre contro i bolognesi, si fermarono a dormire in una locanda di Castelfranco Emilia, al confine tra le province delle due città belle e belligeranti. Il locandiere (poteva andare diversamente?) venne conquistato dalle meravigliose fattezze di Venere, e decise di riprodurne l’ombelico – che era riuscito a sbirciare – con la pasta sfoglia che stava preparando giù in cucina. A questo punto la leggenda tace, soddisfatta. E salta su la petulante Storia: è tutto sbagliato. Tanto per cominciare, Tassoni era modenese, e non avrebbe mai fissato a Castelfranco - avamposto dei Bolognesi - il luogo di nascita del così aspramente conteso tortellino. A conferma di ciò, nella “Secchia rapita” - prosegue implacabile la Storia – dell’ombelico di Venere non c’è traccia né impronta: l’invenzione è dunque tutta farina (sic) del sacco di Ceri, che nei suoi versi dice testualmente:

“….e l’oste, che era guercio e bolognese,
imitando di Venere il bellico
e con capponi e starne e quel buon vino
l’arte di fare il tortellino apprese.”

La Storia non può comunque cantar vittoria. Far le pulci alla leggenda è una cosa: ma tirar fuori le carte che testimonino la nascita del tortellino, è tutta un’altra storia. Non meno nebulosa, in verità.
Il Cervellati, storico degno di fiducia , segnala che nel secolo XII a Bologna si mangiavano i “tortellorum ad Natale”. Una festività, quella natalizia, molto vicina al solstizio d’inverno (il 21 di dicembre).
Da quelle parti, in quei giorni fa freddissimo . E quale alimento è più corroborante e calorico del brodo di cappone, tuttora il più fedele compagno del tortellino?
D’accordo; questa non è una prova, è una supposizione. Ma tocca accontentarsi: prima del XII secolo non è stato trovato alcun riferimento al tortellino.
Solo in seguito comincia a comparire qualcosa; in un libro di ricette trecentesche alcune fonti fanno riferimento a una ricetta dei “torteleti de enula”, un’erba presente in Emilia. 
La ricetta è redatta in dialetto modenese, che conclude così: “…e poi faj i tortelli pizenini in fogli di pasta zalla”. Il riferimento alla pasta sfoglia, gialla per la presenza delle uova, appare di evidenza solare: e “pizenini”, piccini sono questi “tortelli”, proprio come attualmente sono i tortellini.
Siamo comunque ancora nel campo delle possibilità. E ci resteremo per tutto il 400. In compagnia di Giovanni Boccaccio.
Nel terzo racconto dell’ottava giornata del Decamerone, Calandrino, Bruno e Buffalmacco, alla ricerca dell’elitropia, la pietra che fa diventare invisibili, finiscono nel Paese di Bengodi, dove “….stavan genti che niuna casa facevan che far maccheroni raviuoli e cuocergli in brodo di capponi.”

Ma quali maccheroni raviuoli!, dicono gli emiliani. Dovevano essere certamente dei tortellini: chi sprecherebbe così del delizioso  brodo di cappone?
Per uscire dal territorio del forse, ed entrare in quello del probabile, dobbiamo arrivare al 1500, cifra tonda. 
Nel diario del Senato di Bologna quell’anno si riporta che a 16 Tribuni della Plebe riuniti a pranzo fu servita (tra l’altro) una “minestra de torteleti.”: una ricetta che è probabilmente quella degli odierni tortellini. Pochi anni dopo, nel 1570, un Cuoco bolognese (forse Bartolomeo Scappi, cuoco di Pio V) fece stampare un migliaio di ricette tra cui c’era pure quella dei tortellini.
Da questo momento si viaggia più spediti. Nel 1664 Vincenzo Tanara, nel citatissimo (a ragione) “L’economia del cittadino in Villa”, descrive i “tortellini cotti nel burro.”
Nel 1842 il francese Valery, viaggiatore e bibliografo, segnala un “ripieno di sego di bue macinato, tuorli d’uovo e parmigiano”, che altri non è se non il trisavolo del tortellino attuale. 
Il tortellino era insomma nato, e stava benissimo. Ma non viveva mai abbastanza a lungo da farsi conoscere: per le caratteristiche della pasta e del ripieno, in capo a pochi giorni, se non veniva mangiato, era infatti da buttare.
Per la consacrazione dei tortellini bisognava trovare il sistema per conservarli. Vi riuscirono i fratelli Bartagni, che nel 1906 riuscirono a portarli fino in California, alla Fiera di Los Angeles, dove furono molto apprezzati. Segno che si erano mantenuti bene. 
Da allora il tortellino si è affermato, e non si è fermato più.

DIFFERENZA TRA TORTELLINI E CAPPELLETTI




È  facile confondersi  con la pasta ripiena delle nostre regioni: in ogni città si utilizza infatti un termine diverso per identificare magari la stessa cosa, ma la differenza più importante è quella tra tortellini e cappelletti. I dubbi rimangono perché, a titolo di esempio, quelli che a Bologna si chiamano tortellini, in un’altra città emiliana come Ferrara diventano cappelletti, mentre a Mantova si trasformano in agnolini. Inoltre, gli agnolotti tipici del Piemonte cambiano nome fuori da questa regione Cerchiamo dunque di fare un po’ di chiarezza.

  • Cosa sono i tortellini :Con il termine tortellino si indica un tipo di pasta  che è tipica di Bologna e Modena, senza dubbio la pasta ripiena più famosa del nostro paese. La forma ricorda molto quella dei cappelletti, con una preparazione simile, la differenza sta tutta nella sfoglia che viene utilizzata: in effetti, lo spessore è molto più sottile e di conseguenza si riesce a inserire un quantitativo minore di ripieno. In questa maniera il tortellino risulta essere un formato di pasta elegante e di dimensioni ridotte
  • Cosa sono i cappelletti :Si può capire facilmente perché si chiamano in questo modo. Il nome fa pensare a dei piccoli cappelli, la tradizione vuole che si tratti di quelli indossati nel periodo medievale. L’origine è ancora una volta emiliano-romagnola: la preparazione prevede un impasto tradizionale per quel che riguarda la pasta fresca all'uovo , mentre il modo migliore per gustarli è con il brodo di cappone . Il quadratino che si deve ricavare dalla pasta è di dimensioni maggiori rispetto a quello del tortellino, il che vuol dire che anche il ripieno è maggiore. Il quadrato deve essere piegato a metà per ricavare dei triangoli, le due estremità devono essere poi unite, sovrapposte e premute per una perfetta “saldatura”.
  • Il ripieno : In realtà non serve consultare libri di storia di cucina oppure sedersi a tavola muniti di righello, per capire la differenza tra cappelletto e tortellino. Basta assaggiarli. Il tortellino, nella tradizione bolognese, ha un ripieno di lonza di maiale, prosciutto crudo e mortadella, che varia da famiglia a famiglia. Anche il ripieno del cappelletto,  viene tramandato da nonna a nipote ed è composto da carne di maiale, pollo e vitello, ma anche salame e guanciale. Tutto un altro impasto! 







Vi va di svelarci i segreti dei vostri cappelletti o tortellini  di famiglia ?
se volete scrivete il vostro segreto nel post dei commenti qui sotto



VIDEO RICETTA DEI TORTELLINI 















giovedì 5 gennaio 2017

IL LABIRINTO


Il Mago dice che:


Il labirinto è una struttura, solitamente di vaste dimensioni, costruita in modo tale che 

risulti difficile per chi vi entra trovare l'uscita.

Anticamente per lo più univiario, o unicursale, ovvero costituito da un unico involuto percorso che conduceva inesorabilmente al suo centro, il labirinto è poi diventato sinonimo di tracciato multiviario o multicursale. In alternativa un tracciato inestricabile di strade, si può definire come un dedalo, termine chiaramente nato dalla figura del mitico Dedalo il leggendario costruttore del labirinto di Creta per il re Minosse , il più noto tra quelli dell'antichità.
Quindi il difficoltoso percorso labirintico , che conduce al centro è trasparente indicazione della difficoltà del cammino per raggiungere al proprio centro interiore , al centro spirituale, alla terra promessa.
A proposito di quest'ultima è da dire come i labirinti che si trovano sul pavimento di alcune cattedrali medievali sono un surrogato del pellegrinaggio in Palestina .
Un labirinto posto all'entrata di una casa , di una stanza ,o qualsiasi altro ambiente , ha funzione difensiva .
Le forze malvagie infatti sono costrette a percorrerlo sprecando tempo ed energie .

mercoledì 4 gennaio 2017

L'ABRACADABRA


Il Mago dice che:




E' la più famosa tra le parole magiche . Forse è la contrazione della formula ebraica " abreg ad abra " che significa "  invia il tuo fulmine fino alla morte .
Scritta nella maniera indicata di seguiro a questo articolo e portata al collo scongiurava incantesimi e malattie e guariva dalla febbre .
Quinto Sereno Sammonico, nell' opera De medicina praecepta, cita appunto un amuleto triangolare dal vertice capovolto come cura per la malattia: la parola abracadabra vi andava scritta intera nella prima riga e poi via via nelle righe sottostanti ma sempre rimuovendo l'ultima lettera.
In questo modo leggendo il contenuto del talismano riga per riga a scendere 

abracadabra
abracadabr
abracadab
abracada
abracad
abraca
abrac
abra
abr
ab
a

la malattia (o la creatura demoniaca che la causava) si sarebbe a sua volta indebolita, fino a scomparire.

Esistono anche versioni dell'amuleto di forma triangolare ma con il vertice in alto (sicuramente più pratici per essere usati come dei pendenti) all'interno dei quali il vocabolo "per intero" viene scritto alla base e riproposto nelle sue versioni abbreviate verso l'alto: in questi casi deve ovviamente essere letto dal fondo a salire! 



































martedì 3 gennaio 2017

LE STAGIONI IN POESIA


Il Mago dice che:



Si dice che ai nostri tempi non esistono più le stagioni : in realtà esse nascono , scorrono, svaniscono come sempre , fra bizzarrie e cambiamenti di umore che le fanno sentire vive e presenti più di ogni arida statistica .
Siamo noi che , frastornati dal rumore e dall'artificiosità del nostro vivere, non le avvertiamo più.
Per cogliere il senso delle stagioni , occorre possedere ancora la voglia di immergersi nella natura cn occhi pieni di stupore ed apprezzare i doni piu semplici.


I DONI

Primavera vien danzando,
vien danzando alla tua porta,
sai tu dirmi che ti porta?
Ghirlandette di farfalle,
campanelle di villucchi,
quali azzurre quali gialle,
e poi rose a fasci e a mucchi.
E l’estate vien cantando,
vien cantando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
Un cestel di bionde pesche
vellutate, appena tocche,
e ciliegie lustre e fresche
ben divise a mazzi e a ciocche.
Vien l’autunno sospirando,
sospirando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
Qualche bacca porporina,
nidi vuoti, rame spoglie,
e tre gocciole di brina
e un pugnel di morte foglie.
E l’inverno vien tremando,
vien tremando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
Un fastel d’aridi ciocchi
un fringuello irrigidito,
e poi neve, neve a fiocchi
e ghiaccioli grossi un dito.
La tua mamma vien ridendo,
vien ridendo alla tua porta;
sai tu dirmi che ti porta?
Il suo vivo e rosso cuore,
e lo colloca ai tuoi piedi,
con in mezzo, ritto, un fiore;
ma tu dormi e non lo vedi.



LE STAGIONI 

Diceva primavera: “Io porto amore
e ghirlande di fiori e di speranza”.
Diceva estate: “Ed io, col mio tepore,
scaldo il seno fecondo all’abbondanza”.
Diceva autunno: “Io spando a larga mano
frutti dorati alla collina e al piano”.
Sonnecchiando diceva inverno annoso:
“Penso al tanto affannarvi e mi riposo”.